venerdì 2 aprile 2010

Ragnarok

15

La locanda era gremita di persone quella sera. V'erano parecchi soldati non in servizio e vecchi commercianti venuti ad assaporare i loro guadagni in birra e costolette di agnello. La locandiera, da dietro il bancone di legno, coordinava le due cameriere, mandandole a prendere e a servire le ordinazioni. Un vecchio sdentato intonò una canzone della sua giovinezza ricordando i bei tempi, alcuni soldati chiacchieravano tra loro in un angolo bevendo del buon vino speziato, un menestrello strimpellò sul suo liuto una melodia atta ad accompagnare alcuni versi, una canzone da dedicare alla puttana che si trovava di fronte a lui.

Nell'ilarità generale, Shirea si aggirava tra i tavoli con il vassoio appesantito da enormi boccali di birra. Era giovane, non poteva avere più di diciassette anni, età in cui molte ragazze iniziavano a cercarsi il marito, Shirea non poteva permettersi il lusso di pensare all'amore, doveva prima svolgere l'arduo compito che la sua Dea le aveva affidato.
Da quando Ilùva, Dea della Bellezza, l'aveva scelta come suo araldo, la sua vita era stata un susseguirsi di prove: la fuga da casa sua,la seduzione e il raggiro di un commerciante, la partecipazione ad una festa in maschera e adesso questo, lavorare come cameriera in una locanda.

Lo scopo di tutte queste prove era chiaro, Shirea doveva rendersi conto della sua bellezza e sfruttarla per i suoi fini, ma, al tempo stesso, rendersene indipendente, usando le sue capacità per cavarsela in ogni situazione.

Shirea scansò abilmente le mani dei vecchi, che cercavano di insinuarsi sotto la sua gonna, e continuò con il suo lavoro; al tavolo dove erano seduti i soldati le parve di riconoscere in uno di loro uno dei due giovani che le si erano avvicinati durante la festa in maschera a cui aveva partecipato. Le sembrava di riconoscere, nel soldato dai capelli biondi, il giovane che le aveva introdotto quell'altro, così timido e leggermente impacciato. Se non ricordava male si chiamava Julian.


Si svegliò all'alba, i raggi del sole illuminarono la piccola stanza che divideva con le altre cameriere della locanda. Decise che quella mattina non sarebbe andata a farsi umiliare dagli avventori del posto, ne aveva fin sopra la testa delle battute pesanti sul suo sesso e sulle proposte indecenti che le offrivano ad ogni ora del giorno. Aveva risparmiato abbastanza soldi da permettersi di non lavorare per un paio di settimane, ne avrebbe approfittato per consultarsi con la sua Dea e decidere sul da farsi.

Il quartiere religioso era circondato da un'atmosfera tesa, regnava il silenzio in quegli edifici sacri, i sacerdoti vagavano da un tempio all'altro, lasciando offerte generose, e le sacerdotesse pregavano senza proferire parola. C'era calma, ma era una calma strana, innaturale; faceva freddo, troppo freddo per essere a primavera inoltrata.

Il tempio di Ilùva non era molto distante da dove si trovava in quel momento, le sarebbe bastato svoltare l'angolo, andare avanti per qualche centinaio di metri e sarebbe arrivata; se solo non fosse stata distratta da un giovane a cavallo, coperto dalla testa da un mantello nero come la notte. Lo fissò per qualche secondo e, per la seconda volta in due giorni, le sembrò di aver già incontrato quella persona.

Accese un incenso all'altare della Dea e la invocò a bassa voce.

La Dea della Bellezza apparve in tutto il suo splendore, una candida chioma bionda, lunga fino alle caviglie, fluttuava leggera, penetranti occhi ametista osservavano la ragazza.

« Perché mi hai chiamata, Shirea? Non ti avevo per caso detto che ci saremmo incontrate per l'avvento del Ragnarok? »

Shirea abbassò lo sguardo e fissò a terra, non aveva dimenticato, voleva solamente chiederle consiglio.

« Mia Signora io... Io vengo per conoscere lo stato del mio compito attuale. Io ritengo di averlo svolto nel migliore dei modi, non trovo che io debba ancora continuare a lavorare in quel bordello mascherato da locanda. É una cosa oscena. »

Ilùva squadrò il suo araldo, ma sì, non c'era più bisogno di abbassarla al lavoro manuale. Shirea era nata per puntare in alto, la sua bellezza l'avrebbe elevata fino a diventare una cortigiana, magari l'amante del re, l'ombra che controlla il regno. Ilùva serbava grandi progetti per lei, le accordò il termine delle sue fatiche.


Shirea uscì dal tempio visibilmente sollevata, lavorare in una locanda non faceva per lei, molto meglio un impiego come servetta nella casa di qualche nobile, era risaputo che le belle serve erano oggetto del desiderio dei signori nobili, se una era molto fortunata poteva perfino diventarne la moglie ed entrare in società. Era questo a cui aspirava Shirea. Influenzata e plasmata dalla sua Dea, la ragazza non desiderava altro che vivere nel lusso e nello splendore.

“Un giorno sarò una signora importante, ricercata e raffinata.”
pensava tornando al suo piccolo alloggio.
Ancora una volta vide l'uomo a cavallo, non le fu difficile notare, adesso che gli era più vicina, che cercava di nascondere la sua nobiltà; le bastò osservare attentamente il suo portamento e il suo abbigliamento, anonimo sì, ma elegante.

Si decise. Volle sedurlo.
Dopo aver visto che direzione aveva preso, fece in modo di anticiparlo correndo per i vicoli stretti e bui della città; cercava di stargli dietro il più possibile, ma quando si accorse di averlo perso di vista, si arresa all'idea e ritornò sui suoi passi.

“Questa volta ho fallito, ma la prossima andrà meglio.”
si disse entrando nella locanda.
In un angolo, seduto ad un tavolo – come per una misteriosa e fortuita coincidenza – c'era l'uomo misterioso che stava inseguendo. Non ci pensò su due volte, indossò il grembiule e andò subito a prendere la sua ordinazione.

« Il signore desidera qualcosa? » gli chiese con la sua voce più affabile.

Lo vide sussultare per un secondo.

« Del vino speziato, grazie. » rispose l'uomo stringendosi ancor di più nella sua cappa.

« Fa caldo qui, perché non vi togliete il mantello, starete sudando lì dentro. »

« Vi ringrazio, ma sto divinamente. »

Il tono di voce dell'uomo era freddo, distante, poco incline alla conversazione.
Shirea girò sui tacchi e andò al bancone, prese il vino e glielo servì in silenzio, ammutolita dal comportamento del giovane misterioso.

« Ecco a voi. »

« Grazie. »

Shirea si allontanò così come si era avvicinata, una delle sue compagne notò lo sguardo avvilito di lei e le domandò se fosse tutto a posto, se quel tizio le avesse detto qualche di brutto, la ragazza fece cenno di diniego con la testa, si tolse il grembiule e comunicò al locandiere che da quel giorno non avrebbe più lavorato per lui. Nel tornare alla locanda aveva visto un cartello, appeso ad una vetrina, dove era scritto che cercavano un'apprendista sarta, vi si recò immediatamente.

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