martedì 23 febbraio 2010

Ragnarok

12

Frey noc Savhr, principe ereditario di Irrfad, cavalcava di fianco al padre per far finalmente ritorno a casa. La battaglia contro Jukigabijo era stata vinta senza troppe perdite e il sovrano di Irrfad, soddisfatto per il risultato conseguito, aveva offerto al sovrano Gyuke, il re nemico, un negoziato al fine di ristabilire la pace che vigeva un tempo tra i due regni. Il trattato prevedeva che Jukigabijo pagasse per due anni dei tributi ad Irrfad, annullasse i dazi doganali per le merci importate da Jukibabijo e, al contrario, all'inasprimento delle tasse dovute all'esportazione delle merci verso Irrfad.

Re Gyuke aveva accettato subito, non era conveniente per il suo regno continuare quella guerra che già provava gli abitanti da molto tempo. Se quello era il prezzo da pagare per la pace, allora l'avrebbe pagato.

Il ritorno lungo il Deserto degli Scheletri fu una pena indescrivibile per il giovane principe, più vecchio di Katòn di soli due anni; ogni miglio percorso gli faceva tornare in mente quella dannata sosta per la notte, in cui la donna che amava era stata accusata di aver cercato di ucciderlo, nonostante l'avesse salvato dal vero attentatore. Frey non aveva perso tempo raccontando immediatamente la sua versione dei fatti al padre, ma questi aveva preferito lasciare la questione in sospeso per dedicarsi all'imminente battaglia; il principe comprendeva perfettamente la posizione del padre, se fosse stato al suo posto avrebbe fatto lo stesso, ma ogni giorno pregava affinché suo padre decidesse il da farsi.

L'arrivo a Sejh'katar gli rincuorò l'animo, tornare nelle sue terre lo rinfrancava da tutte le fatiche e tutte le lotte che lo avevano accompagnato per tutto quel periodo. Erano quattro mesi che non rivedeva suo fratello ed uno dalla notte in cui si era separato da Esta; facendo qualche calcolo approssimativo in due settimane sarebbe entrato nel castello, avrebbe salutato Katòn, sarebbe andato a far visita a Lady Utena come esigeva l'etichetta e poi finalmente l'avrebbe riabbracciata, era sicuro che Esta era al castello che l'attendeva impazientemente.

Se solo non fosse ufficialmente fidanzato avrebbe anche potuto sposarla, quella strana mercenaria che gli aveva rapito il cuore, gli aveva salvato la vita, quale ricompensa migliore che il matrimonio; sarebbe stato un finale meraviglioso, forse re Gothan e Katòn avrebbero storto la bocca, ma alla fine lo avrebbero accettato senza troppo problemi.

Se solo non fosse già fidanzato.


« Roriath! »

« Sai, adoro questo tuo atteggiamento nei miei confronti, comportarti con me come se fossi una tua pari, mi ispira fiducia sai? »

« Mi avevi promesso che mio padre e mio fratello sarebbero tornati sani e salvi, sono passati tre mesi. »

« Sì, te l'ho promesso e infatti è così, ma tu non hai specificato entro quanto. »


La sosta nella roccaforte del deserto non durò più di una giornata, re Gothan aveva mandato avanti i suoi messaggeri più rapidi per informare il figlio minore e il Consiglio del loro arrivo, aveva dato precise istruzioni, pretendeva che per il suo ritorno fossero organizzati tre giorni di feste in tutto il regno, i cittadini erano esentati dall'andare a lavorare e tutte le città e i villaggi dovevano essere animate dalla baldoria dei festeggiamenti. Insieme aveva dato ordine a Katòn di sospendere il suo giudizio sulla mercenaria, voleva occuparsene lui personalmente.

Dopo essere ripartiti da Sejh'katar l'esercito prese la strada che conduceva a Kantara fermandosi due volte lungo il tragitto per il ristoro e per la notte, quando entrarono in città il signorotto locale omaggiò il suo sovrano con un sontuoso banchetto nella sua villa, il principe Frey non poté esimersene anche se l'unica cosa di cui aveva davvero voglia era un letto e un pasto caldo da mangiare.


« Principe, non c'è motivo per sospendere il giudizio su quella donna, ha attentato alla vita di vostro fratello, la sua condanna è la morte, basta indugi! »

« Vorrei ricordare che niente è realmente ciò che sembra, che bisogna sempre vedere oltre, sarei un pessimo reggente se non tenessi conto di tutto, prima di tutto sentiamo cosa ha da dire mio fratello, poi vedremo il da farsi. »

« Maestà, c'è una lettera da parte di vostro padre »

« Signori del Consiglio, vi annuncio che mio padre il re sta tornando e che intende occuparsi personalmente della mercenaria. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro. »


Da Kantara la strada seguiva per Namida, la città delle pietre preziose. Per arrivarci dovettero superare il ponte sul fiume Hui, che portò via gran parte della giornata. La cavalleria pesante fu costretta a passare poco per volta, lo stato del legno non prometteva niente di buono, aveva bisogno di essere rimesso a nuovo, si vedeva che non sopportava troppo peso tutto in una volta; Frey si ripromise di aiutare personalmente i boscaioli per mettere insieme tutto il legno necessario per un nuovo ponte.

Giunti a Namida l'esercito sostò per altri due giorni per riposarsi a dovere prima dell'entrata trionfale a La Capitale, i soldati parlottavano tra loro di quanto erano contenti di rivedere le loro famiglie, i veterano insistevano nel dire che quella non era vera guerra, i novizi invece andavano a bullarsi del loro trionfo con le fanciulle della città, che arrossivano e ridacchiavano alla vista di così tanti uomini.

Frey osservò alcuni suoi soldati dalla finestra della stanza che l'oste della locanda in cui avevano alloggiato gli aveva riservato, a volte provava invidia per quegli uomini liberi, senza restrinzione alcuna, liberi di poter decidere del proprio destino, liberi di stare con la donna amata, liberi da responsabilità enormi; non aveva mai provato quella sensazione, fin da piccolo era stato educato a dover prendere il posto del padre, aveva avuto i migliori precettori e insegnanti in circolazione, non era colto come suo fratello, ma ne sapeva abbastanza da poter guidare un regno grande come Irrfad. Gli sarebbe piaciuto, per un giorno, uno soltanto, provare a vivere come un uomo normale, ma il destino gli aveva riservato un'altra strada da percorrere.

L'esercito riprese la strada che era in ottima forma, ormai i giorni della battaglia nel deserto erano lontani, erano vicini casa, sarebbero stati accolti come eroi, questa idea dava la carica necessaria per accelerare il passo.

La Capitale era vicina, all'orizzonte si poteva scorgere chiaramente il profilo della torre campanaria e sentire il suono delle campane, Frey avrebbe desiderato spronare il suo cavallo al galoppo, ma dovette frenarsi e contenersi, non poteva agire come un uomo normale.

L'entrata in città dell'esercito fu accompagnata dall'ovazione generale dei cittadini, i bambini correvano accanto ai soldati, gli uomini salutavano con la mano e le donne battevano le mani e spargevano petali e fiori sul cammino del re, l'onda umana seguì l'esercito anche lungo il sentiero che portava al castello. Le grandi porte furono aperte e re Gothan fu contento di vedere come tutto fosse in festa, a pochi metri da lui si trovava il figlio minore e il Consiglio di Stato, Katòn s'inchinò e attese che il padre smontasse dalla cavalcatura per poterlo abbracciare.

Roriath era stata di parola, né suo padre né suo fratello avevano riportato ferite, alcuni soldati che erano al loro fianco durante la battaglia iniziarono a spargere la voce che la famiglia era stata come protetta da uno scudo invisibile.

West, impeccabile con la sua alta uniforme, comandava ai suoi uomini di salutare il sovrano al suo passaggio; non lo dava a vedere, ma era preoccupato, con il ritorno del re sua sorella sarebbe stata giudicata, il processo stava per avere inizio.

sabato 13 febbraio 2010

Ragnarok

11

Il Tempio era illuminato da fiaccole appese lungo i muri ed in cima alle colonne della navata, che conferivano all'ambiente un'atmosfera tetra e lugubre, in perfetta sintonia con quello che l'edificio rappresentava. La Casa della Dea della Guerra doveva infondere negli uomini un senso di impotenza e reverenziale timore, la luce soffusa e le lunghe ombre proiettate sui muri adempivano perfettamente a quel compito.

Roriath, la temibile Dea dagli occhi di sangue, era seduta pigramente sul suo seggio, quasi non ascoltava quello che il suo araldo le stava dicendo, ma si concentrava sui piccoli particolari che la circondavano. Come per esempio la porta in legno massiccio fregiata dal miglior artista dell'epoca in cui venne costruito il Tempio, i cui bassorilievi narravano la storia del prode condottiero Damos noc Yutas, di come avesse sconfitto da solo un'intero esercito di barbari invasori, avesse unito sotto un'unica bandiera quei territori e si fosse incoronato re.

« E quindi mi chiedevo se voi potevate saperne di più... »

La prima colonna a destra era lievemente scheggiata, Roriath storse il naso, il suo Tempio doveva essere perfetto, non esisteva posto per una minima scheggiatura come quella, ne andava del uso stesso onore! Si ripromise di punire l'inutile accolito del sacerdote che aveva il compito di pulire, da cima in fondo, il Tempio.

« Insomma, avrà poco più di 16 inverni, è troppo piccola e immatura per ricoprire un ruolo del genere! »

Lo sguardo della Dea abbracciò l'interno nel suo complesso e ne ammirò l'insieme: panche spartane, nessuna traccia di comodità alcuna, chi veniva a pregarla non aveva bisogno di stupidi cuscini o altre diavolerie che nei templi delle altre divinità si trovavano come funghi.

Le quotidiane offerte erano state posate sul suo altare come ogni mattina, il sacerdote non aveva badato a spese, sui grandi vassoi si potevano trovare frutta a volontà, verdure fresche e saporite, carne essiccata della migliore qualità, pane e biscotti in grande quantità. Evidentemente cercava di ingraziarsi il suo favore per vincere la guerra contro Jukigabijo.

Roriath si alzò ignorando Katòn, che già da qualche minuto era in attesa di una risposta, e si mosse per prendere qualcosa dalle sue offerte. Lanciò una mela rossa matura al suo araldo mentre ne addentava un'altra.

« La mela è la risposta? »

« A cosa? »

« Alla domanda che ti ho posto. »

« Mi hai posto una domanda? »

Il principe sospirò sconsolato, se prima aveva dei dubbi, adesso erani chiariti, la Dea non aveva ascoltato niente di quello che aveva detto fino a quel momento, nulla, nemmeno quando le aveva detto di Shirea e delle sue ipotesi, zero assoluto. Roriath ricambiò il suo sguardo rassegnato con un'espressione curiosa, chissà cosa si era mai persa.

« A volte sai renderti noioso. » disse con nonchalance finendo di mangiare la sua mela.

« Se sono noioso, allora perché mi hai fatto diventare il tuo araldo? » chiese esasperato Katòn alzando le braccia al cielo.

« Punto primo: hai accettato tu, io ti ho fatto semplicemente la proposta.

Punto secondo: i vari motivi per cui ho scelto te non sono di tua competenza.

Punto terzo: C'è ancora tempo per discutere di Shirea e del suo futuro, quello che voglio sapere è come hai intenzione di comportarti con Esta. »

"Ma allora ha ascoltato!" pensò Katòn nel riflettere alle parole appena pronunciate dalla sua Dea, ma allora perché far finta di non sapere niente, non aveva assolutamente senso!

« Se stai pensando che io in realtà ti abbia ascoltato, scordatelo. Ho semplicemente visto gli eventi dalla mia dimora nel Mondo Divino. »

« Ah... Ma quindi tu sai cosa è successo realmente a mio fratello e a Esta? »

« Certo, ma non azzardarti a chiedermi di raccontarti cosa è successo, non mi impiccio negli affari umani, risolvetevi da soli i vostri problemi.

Moltissimo tempo fa una divinità fu presa dalla pietà e dalla compassione nel vedere il caos in cui regnava il Mondo Umano, così decise di rivelarsi e di parlare con la voce di una donna per risolvere i vostri problemi. Accorrevano da ogni luogo per risolvere i loro problemi. All'inizio si trattava veramente di gravi problemi, si presentavano re e sovrani, antiche famiglie nobili; poi venne il ceto borghese e infine i contadini e gli ignoranti, le questioni che gli ponevano erano così banali che il Dio si rifiutò di parlare ancora chiaramente.

Deciso a porre fine all'ingenuità degli uomini, il Dio iniziò a parlare per bocca della donna con profezie e indovinelli. Gli uomini, stolti nella loro piccola mente, non capirono il gesto del Dio ed iniziarono ad appellarla "strega", "pazza".

La povera donna si suicidò per la disperazione e il Dio, indignato, si rifugiò nella sua dimora nel Mondo Divino e non ne è più uscito fino ad oggi.

Dimmi Katòn, che cosa ti insegna questa storia? »

Il principe ripensò alle sue letture dell'adolescenza e ricollegò il tutto all'antico caso della Sibilla, la donna che prevedeva il futuro e risolveva i grandi dilemmi dell'umanità, nel libro che aveva letto non c'era scritta la fine della storia, la notizia della Sibilla s'era dispersa nel nulla, come dal nulla era sorta.

« Mi insegna che devo sempre vedere oltre il limite della mente umana per poter comprendere a pieno i segreti e i misteri della vita, non devo mai soffermarmi di fronte alle difficoltà, ma devo affrontarle e trovare le risposte che cerco. »

« Siamo filosofici eh? Io pensavo semplicemente che non ho nessuna intenzione di finire come quei due, non voglio ritrovarmi a dover predire il futuro o a dover risolvere i problemi dei contadini, e soprattutto non ho nessuna intenzione di immischiarmi, ma questo te l'avevo già detto no? »

La Dea sapeva. Conosceva esattamente tutti i risvolti di quella spina nel fianco che si era ritrovato nell'accogliere la sorella di West.

La soluzione più facile da eseguire sarebbe stata quella di giudicare e condannare Esta, dato che il mandato di cattura nei confronti della donna era giunto fino a La Capitale, ma né Frey né West gliel'avrebbero perdonato. No, doveva escogitare altro; il Consiglio lo premeva affinché emettesse il suo giudizio, non tollerava che il processo della mercenaria fosse sospeso fino al ritorno del sovrano, Katòn era il reggente e aveva pieni poteri, non aveva senso attendere ancora. Il ragionamento del Consiglio non aveva pecche logiche se fosse stata una situazione normale, ma nascosti c'erano dei particolari da non rendere pubblici.

La Dea sapeva. Lei era in grado di fornirgli tutte le informazioni di cui necessitava.

Il principe scosse la testa, se gli aveva narrato la novella della Sibilla c'era un motivo ben particolare, e se realmente non c'era, lui voleva credere così. La storia gli aveva appena insegnato a non fermarsi al solo visibile e al solo noto, ma di proseguire oltre al fine di scoprire tutti i segreti celati dietro una tal cosa. Una storia che gli ricordava quella degli schiavi e della caverna, lui doveva fare esattamente la stessa cosa.

Con un reverenziale inchino si congedò dalla Dea per ritornare ai suoi doveri reali. Non aveva la più pallida idea di cosa fare, ma sapeva come fare.

lunedì 8 febbraio 2010

Ragnarok

10

Lo schiaffo pulsava ancora sulla guancia di West, gli occhi del soldato erano puntati verso la terra smossa dai cavalli poco prima, un segno rosso stava iniziando ad apparire proprio nel punto in cui la mano di Esta aveva centrato la pelle del fratello. Il capitano delle guardie si allontanò e restituì la lettera ad un Katòn incapace di proferire verbo, quella situazione s'era venuta a creare anche per colpa sua.

« Aspetta West! Perché non ne approfitti per recuperare il tempo e il rapporto perduto con tua sorella, eh? »

« Come desiderate Vostra Altezza. »

Il principe rimase spiazzato da quella risposta così fredda, così distante.

West montò a cavallo e si diresse verso il castello, non si voltò indietro né attese che il principe e la mercenaria salissero sulle loro cavalcature per seguirlo, sua sorella lo umiliava e colui che credeva il suo migliore amico l'aveva appena tradito; possibile che Katòn non capisse che la sola presenza della sorella bastava ad oltraggiare la sua reputazione? Dal momento in cui aveva deciso di fare carriera nell'esercito, West aveva ben pensato di non far assolutamente trapelare la notizia che suo padre e sua sorella erano mercenari, notizia che gli sarebbe costata cara se si fosse sparsa la voce. Era andato tutto per il meglio fino a quel momento, ma sua sorella lì, insieme a lui... doveva fare molta attenzione.

Il capitano delle guardie era molto amareggiato. Da una parte c'era la gioia di sapere che sua sorella stava bene, dall'altra c'era il suo dovere di soldato, che gli imponeva di arrestare la donna e come se non bastasse c'era pure la questione dell'onore; non aveva la più pallida idea di cosa fare.


Katòn cavalcava lungo il sentiero che l'avrebbe riportato al castello, dietro a West e accompagnato da Esta; durante il tragitto si era fatto un'idea dei sentimenti che potevano albergare nel cuore dell'amico ed aveva cercato di trovare una soluzione che potesse soddisfarlo. Poco lontano dal bivio che portava all'entrata segreta, il principe chiamò West e gli ordinò di porre agli arresti la mercenaria.

« Come sarebbe a dire!? Credevo di potermi fidare! » esclamò Esta, indignata per le parole del reggente.

« E ti puoi ancora fidare. Il problema è che non possiamo far finta di niente, a breve il mandato di cattura arriverà qui al castello e non so per quanto potrei aiutarti a nascondere. Se invece venissi arrestata subito e rimandassi il tuo giudizio fino al ritorno di mio padre e di mio fratello, allora saresti al sicuro. Posso fare in modo che la tua permanenza nelle prigioni non sia tremenda, farò in modo che tu possa avere un trattamento di riguardo, va bene? »

Esta distolse lo sguardo, credeva che una volta che avesse trovato il principe sarebbe stata al sicuro, che non avrebbe più dovuto scappare come braccata da cani, non si aspettava certo di finire in carcere. Se da un lato c'era la delusione, la sua parte razionale dava ragione alle parole del principe, una volta arrestata non avrebbe dovuto far altro che attendere il perdono del re - perché sapeva che sarebbe giunto, lei aveva salvato la vita del principe ereditario! - e tornare libera. La logica vinse sui sentimenti e, chinando il capo, accettò la sua sorte.

« Ma che non si venga a sapere che tu sei mia sorella. » intervenì West dopo aver tirato un sospiro di sollievo.

« Ti fa tanto schifo la nostra parentela? »

« Fondamentalmente non mi interessa, il problema è che io sono il capitano delle guardie del castello, tu una mercenaria. Sai cosa potrebbe significare per me, il mio onore e la mia carriera? »

Katòn sorrise nel vedere i due bisticciare tra loro, biologicamente uniti, ideologicamente avversari, non c'era astio o rancore nei loro occhi, solo un felicità mascherata.

« West sbrighiamoci, più stiamo via e più c'è il rischio che scoprano la nostra assenza. »

Il giovane annuì e in breve tempo giunsero al castello, la vecchia entrata da cui erano passati prima era ancora incostudita, esattamente come l'avevano lasciata.

« Domani la farò murare, è intollerabile una mancanza come questa. » sussurrò il principe non appena furono entrati dentro.

« Stai scherzando vero? Se dovesse succedere qualcosa, questa porta è l'unica via di fuga. » replicò West sgranando gli occhi.

« Ti darei ragione se per mettersi in salvo non bisognasse passare accanto al castello; chi ha progettato questo castello non doveva avere le idee molto chiare. »

« Forse all'epoca non c'era ancora la foresta che ci circonda. » ipotizzò Esta guardandosi intorno.

« No, la foresta è molto più vecchia. »

« Be', in ogni caso non mi sembra il momento adatto per discuterne, adesso dobbiamo fare assoluto silenzio. Katòn, io porto mia sorella in una delle celle meglio messe, tu vai nelle tue stanze. »

Non ci fu bisogno di ripeterlo due volte.

Katòn si buttò letteralmente sul suo letto, la stanchezza iniziava ad entrargli nelle ossa, aveva sonno, ma nonostante avesse chiuso gli occhi e non pensasse a niente non riusciva ad addormentarsi, le giunture gli dolevano, non trovava una posizione in cui stare comodo e, come se non bastasse, mille pensieri gli affollavano la mente. Inutile resistere dunque. Si ritrovò a riflettere sulla serata appena trascorsa e alle informazioni in suo possesso; sapeva per certo che la ragazza che aveva conosciuto, Shirea era un'araldo, aveva visto chiaramente il ciondolo che contraddistingueva la categoria. Il problema era che non sapeva assolutamente come comportarsi con lei in futuro. Aveva meno di un anno per agire come uomo libero, ma come avrebbe agito? Da sconsiderato o avrebbe pensato alle conseguenze future?

C'era qualcosa nella ragazza che lo attraeva, qualcosa di indefinito che sembrava legarlo indissolubilmente a lei. Chissà chi era la Dea che serviva... si ripromise di domandarlo a Roriath, forse la Dea della Guerra poteva scoprire a quale rivale apparteneva.

E poi c'era Esta, la sorella mercenaria di West. Non poteva assolutamente non trovare una soluzione per quella questione. Il principe conosceva fin troppo bene suo fratello per non capire i sentimenti che le poche righe della lettera trapelavano, eppure ancora non riusciva a credere che Frey si fosse innamorato di una mercenaria, non solo era già fidanzato, ma era anche l'erede di Irrfad! Katòn pregò gli dei perché alla fine prendesse la decisione giusta.

Questo era uno dei tanto motivi per cui era contento di essere figlio cadetto, non avrebbe sopportato il dover pensare prima al regno e poi a se stesso, ed era per questo che ogni giorno sperava e pregava per il ritorno dei suoi parenti. Forse era stata l'educazione impartatagli, forse la consapevolezza che non sarebbe mai divenuto Re, era cresciuto pensando esclusivamente a sé, non aveva minimamente tenuto di conto che un sovrano deve pensare prima di tutto al benessere del proprio regno, crescendo aveva capito questo concetto, ma mai prima d'allora lo aveva messo in pratica.

Alla fine la morsa del sonno lo intrappolò, ma non dormì sogni tranquilli: strane visioni di donne che si azzuffavano tra loro invasero la sua testa.