sabato 10 luglio 2010

Ragnarok

24

“Mia adorata Shirea,

purtroppo alcune complicazioni mi hanno impedito di adempiere alla mia promessa fattati appena due giorni fa; voglio che tu sappia che ogni momento che ho passato lontano da te, è stato un momento sofferto.
Non oso presentarmi a te sapendo che provi odio e delusione nei miei confronti, ti prego, ti supplico di perdonarmi!
Attendo tue notizie.
Tuo,
Julian.”

« West, puoi farla recapitare entro stasera? »
« Uhm… credo di sì, dopo pranzo dovrò recarmi alla caserma, ne approfitterò prima di visionare le nuove reclute. »
« Non sono più loro a venire qui? »
« No, non dopo l’incidente dell’ultima volta; comunque fidati, la tua lettera è in ottime mani. »
« lo so, ti ringrazio West. »

Shirea stava discutendo con la sua padrona a proposito di un nuovo modello d’abito, la fanciulla aveva notato che, apportando delle modifiche in alcuni punti specifici, i vestiti più scomodi, in particolare quelli per le cerimonie, diventavano più confortevoli da indossare. Questo, però, solo sulla carta, ancora non aveva trovato riscontro positivo nella pratica, se le sue supposizioni si fossero rivelate esatte, sarebbe stata una rivoluzione per la sartoria, un grande passo in avanti; passo che, nonostante le rassicurazioni di Shirea, la padrona del negozio non era convinta ad affrontare.
« Datemi almeno una possibilità! » protestò Shirea di fronte all’ennesimo rifiuto.
« Cerca di capirmi, Shirea. Non possiedo un grande negozio, i soldi che guadagnamo sono appena sufficienti per tirare avanti. Se il modello che proponi non dovesse soddisfare i bisogni della clientela, saremmo perdute, un vestito perso può fare la differenza tra il mangiare un piatto al giorno e il non mangiare affatto. »
La ragazza replicò dichiarando che senza rischiare nessuno è mai andato avanti, anche i generali più esperti – citava – rischiavano il tutto e per tutto in guerra, questo non impediva loro di procedere; così doveva fare lei, continuò Shirea, il progresso era sempre un rischio ed un pericolo, ma portava innovazioni da poter vendere a caro prezzo.
La discussione terminò quando un soldato dalla bionda chioma si presentò per consegnare una lettera; Shirea l’accettò di controvoglia quando seppe il nome del mittente, ma non poteva rifiutarsi di accettare la missiva, in fondo era stata lei per prima ad impegnarsi.
La lesse dopo aver terminato il lavoro, seduta su una panchina antistante il negozio. Julian la supplicava di perdonarlo per non essersi presentato all’appuntamento. Che cosa avrebbe dovuto rispondergli? Neanche lei s’era fatta viva, era sgattaiolata via dal retro per non incontrare il suo “promesso”.
Il soldato le aveva riferito che sarebbe tornato in seguito per ritirare la risposta, Shirea ebbe una leggera crisi di nervi che quasi le fece stracciare il foglio, troppe cose a cui pensare e a cui dedicarsi, troppe preoccupazioni, necessitava di una scala di priorità.

La scarsa luce del tramonto le bastò per terminare di scrivere la lettera di risposta a quella di Julian, con poche e brevi parole accettava di perdonarlo e gli chiedeva di perdonarla a sua volta, in quel preciso momento della sua vita non poteva dedicarsi ad altri che a sé, si chiamava sciocca per aver dato corda alla sua impulsività.
Si diceva dispiaciuta di aver infranto il suo cuore e gli promise che una volta chiariti i suoi sentimenti gli avrebbe fatto pervenire una risposta, in un modo o in un altro.
Consegnò il foglio al soldato senza dire una parola, i suoi pensieri erano rivolti ad Ilùva, la sua dea.
Il tempio, di piccole dimensioni, era riccamente decorato, tappeti preziosi ricoprivano il pavimento, arazzi e quadri erano appesi lungo i muri raffiguranti scene mitologiche e divinità, dei piedistalli erano posizionati lungo il corridoio della navata dove erano posati vasi di terracotta con disegnate scene di vita quotidiana.
La luce proveniva da una miriade di lampade ad olio che illuminavano a giorno la sala, l’altare era di pregiato marmo bianco coperto da una fine seta chiara.
Reliquie di rara bellezza erano depositate in piccole nicchie al lati del tempio, impossibile confondere la dimora della Dea della Bellezza.
Shirea entrò silenziosamente, Ilùva la stava già aspettando.
« Scopri qualcosa di più sul giovanotto che ti corre dietro, nasconde qualcosa. »
« Prego? Ma io gli ho scritto che… »
« Non mi interessa, ritratta quello che gli hai scritto e seducilo in modo che ti dica chi è veramente.
Inoltre fa’ attenzione alle persone che ti circondano e soprattutto sappi questo: una dea ha diritto di competere fin tanto il suo araldo è vivo, se tu muori, io verrò eliminata dal Ragnarok.
Ricordatene bene. »
Shirea annuì mesta, giocare con i sentimenti altrui era una cosa che le aveva insegnato fin dai primi tempi e non si era mai fatta scrupoli, da quando aveva conosciuto Julian – in verità solo da pochissimi giorni, tuttavia tanto le era bastato – dei moti di repulsione le attanagliavano l’animo, iniziava a credere che quello che stava facendo era moralmente sbagliato, chi era lei per ingannare e deludere i sentimenti altrui?
Evitò saggiamente di affrontare l’argomento con la sua Signora, non era il momento più adatto, una volta che il Ragnarok fosse terminato avrebbe avuto tutto il tempo per delineare i suoi principi di vita.
La fanciulla tornò a casa, una piccola stanza munita dei servizi essenziali, posta sopra un fruttivendolo, senza cenare di distese sul letto, stava ancora pensando alla sua vita, a come era cresciuta, il suo pensiero ritornò ai suoi genitori adottivi, che l’avevano lasciata andare quando avevano capito che era impossibile metterle delle catene.
Un’ombra nascosta dalla notte la stava spiando attraverso il vetro della finestra, un ampio cappuccio calato sul volto rendeva impossibile la sua identificazione, il colore del mantello lo confondeva con l’ambiente circostante.
L’ombra prendeva nota mentalmente di tutte le azioni compiute dalla ragazza, quando fu certo che s’era addormentata si guardò intorno: le vie erano deserte.
Con abilità scalò la parete fino ad arrivare alla finestra, che aprì con un corto fil di ferro, rovistò nei pochi cassetti disponibili senza trovare ciò che cercava; alla fine scostò le coperte che coprivano la fanciulla intravedendo l’oggetto della ricerca.
Non fece altro, rimise a posto la stanza ed uscì come era entrata, l’ombra corse per le strade acciottolate della città dirigendosi verso il quartiere religioso.
« Ne ho trovato uno, è una giovane fanciulla. »
« Ottimo, prima di ucciderla, scopri quale dea serve e proponile un’alleanza, se dovesse rifiutare allora sai cosa fare. »
« Come desiderate, Signora. »

giovedì 1 luglio 2010

Ragnarok

23

Katòn diede un’ultima occhiata alla missiva, il mittente aveva scritto chiaramente il luogo e il momento dell’incontro: al tramonto, poco distante dalla parte ovest della capitale; il principe cadetto aveva riflettuto tutta la mattina, aveva chiesto consiglio a West ed era giunto alla conclusione che, se fosse stata una trappola, ci sarebbe stato il capitano delle guardie a proteggerlo, se invece il mittente era in buona fede, ci sarebbe stato tutto da guadagnare.
“Spero che Shirea non mi odi per aver saltato l’appuntamento che avevamo fissato ieri, le manderò una lettera di scuse e giustificazioni. Sono sicuro che capirà.”
Un refolo di vento fresco gli scompose i capelli, la neve si stava sciogliendo, segno inequivocabile che la primavera era vicina, e i primi boccioli di fiori facevano capolino dal diradato manto nevoso; gli alberi non erano più carini, se si guardava con attenzione si potevano scorgere i nidi degli uccelli; stare in mezzo alla natura era un’esperienza che a Katòn piaceva moltissimo, fin da piccolo aveva sempre frequentato il parco del castello, quando poi era diventato più grande aveva preso l’abitudine di recarsi almeno una volta ogni sette giorni nella foresta vicina.
Negli ultimi mesi, però, aveva dovuto rinunciare a questo suo “vizio”, l’assenza di suo padre e la conseguente reggenza prima e l’avvicinarsi del Ragnarok dopo lo avevano allontanato dai boschi, per questo era felice che il luogo d’incontro fosse proprio sul limitare della foresta: era come una ventata rinfrescante per il suo stato d’animo.
Katòn si rilassò, appostato sulle mura della città c’era West a controllare la situazione, il principe non doveva temere alcun ché, era perfettamente al sicuro.
« Principe Katòn. » lo chiamò una voce, riportandolo al mondo.
L’araldo di Roriath si voltò e vide un uomo anziano, curvo su un bastone, avvicinarsi tranquillamente, notò che i suoi occhi erano completamente bianchi.
« Voi siete cieco. » affermò Katòn sgomento.
« Sì, ma la mia dea mi ha donato la vista dell’Oltre.
Non vedo cosa accade intorno a me, ma posso vedere cosa accadrà in futuro. »
« Siete un veggente dunque. »
« Se così vi piace chiamarmi. La mia dea non partecipa al Ragnarok per combattere, solo per avvertire, col suo specchio incantato ha visto il futuro; mi ha chiesto di riferirti che le sorti del mondo dipendono da te. »
Il respiro del principe minore si arrestò per qualche istante, non era preparato per quel tipo di rivelazione, credeva che il Ragnarok fosse una guerra tra dee, la cui vincitrice sarebbe divenuta di diritto la preferita di Arman, il Re degli Dei; così gli era stato riferito da Roriath, possibile che fosse solo una bugia per indurlo ad accettare il ruolo d’araldo? E se fosse stato realmente l’inizio della fine del mondo, come scritto in tutti i libri e recitato in tutti i miti e leggende?
« Percepisco la tua confusione, principe.
Ascolta attentamente, questa è la visione della mia dea.
Eeda, somma dea della Ruota del Fato, ha visto una porta che non deve essere varcata, passano gli anni e ancora nessuno trova il coraggio di posare i piedi oltre la soglia, poi giungi tu, accompagnato da una figura misteriosa, ferita e malandata.
Qui lo specchio della mia Signora si sdoppia; da una parte vede te e quella figura fermarvi prima di addentrarvi oltre la porta, la figura muore, ma il mondo è salvo; sull’altra superficie ti vede superare quell’infausto confine, la misteriosa figura che ti accompagna si salva, ma a caro prezzo, un’oscura potenza viene risvegliata e tutto il mondo cade nelle tenebre. »
La luna iniziò a levarsi alta nel nero cielo notturno e l’oscurità circondò i due uomini, il gelo penetrò nel corpo del principe, non soltanto per l’effettiva temperatura di quell’ora, soprattutto per le parole dell’anziano uomo. Il destino del mondo ricadeva nelle sue mani, nella sua scelta.
« Quando accadrà? Insomma, credo di avere il diritto di sapere quando avrò la possibilità di scatenare la fine del mondo! E… e la porta? Come farò a riconoscerla? Ha qualche iscrizione particolare, un guardiano da affrontare, oppure… »
« Non essere impaziente, quando verrà il momento lo saprai; e allora saprai qual è la decisione da prendere. »
« Che domande, io so già quale decisione prendere, non voglio scatenare il caos! »
« Ne sei sicuro? »
Il vecchio non disse più una parola, esattamente come era arrivato se ne andò, piano piano, curvo sul bastone, lasciando Katòn in piena confusione.
Il principe sapeva che, razionalmente, la decisione più giusta da prendere era quella di non varcare la porta, la morte di una persona era accettabile se il prezzo da pagare era il mondo intero; però le ultime parole del’’anziano araldo gli avevano messo in corpo ulteriore agitazione, solo in quel momento, riflettendo con calma, considerò che nel fare una scelta non influiva soltanto la razionalità, ma anche fattori di tipo emotivi e personali; molte persone sceglievano la strada sbagliata perché guidati dai sentimenti.
Katòn se ne stava con la schiena poggiata al tronco di un albero, West lo trovò più pensieroso di quando l’aveva lasciato poco prima.
« Mi hai fatto prendere un bello spavento, sai? L’altro tipo è rientrato in città e della tua presenza nemmeno l’ombra, temevo ti avessero fatto qualcosa.
Che hai? Sei più teso della corda di un arco. »
« La corda di un arco è come burro paragonato a come mi sento in questo momento. Non è che mi daresti una mano? Non sono molto sicuro della stabilità delle mie gambe. »

Al castello si respirava aria di festa quella sera, Sua Maestà, per intrattenere alcuni suoi ospiti di Jukigabijo, aveva fatto allestire un piccolo circo nella sala dei ricevimenti, acrobati e giocolieri si esibivano al centro dell’ampio salone, serve e camerieri distribuivano tartine, bruschette, assaggi, bevande e pane; solo Katòn stava in disparte, sovrappensiero.
« Non darti pena per quello che ti ha detto quel vecchio, quando l’ho incrociato in città, alla porta, mi ha detto che mi sposerò entro un anno, pazzesco. Credimi, quel vecchio non ci sta con la testa, io che mi sposo, pf! »
Il principe minore fece un mezzo sorriso, l’idea di West come marito affettuoso e devoto era veramente un pensiero quasi impossibile da formulare; tutti al castello sapevano, in special modo le donne, che il capitano delle guardie era un uomo a cui piaceva divertirsi e che fuggiva dagli impegni, non più di un mese era il periodo a cui il giovane poteva dedicarsi ad una donna, si annoiava facilmente.
C’era da dire a suo favore, che non aveva mai cercato d’ingannare le fanciulle, queste ultime, infatti, erano sempre a conoscenza delle intenzioni del capitano, West era sempre stato chiaro su questo punto.
« West, se io posso scatenare l’apocalisse, tu puoi anche sposarti. » replicò divertito Katòn.
« Non scherzarci nemmeno, il giorno in cui mi dovessi sposare sarà davvero la fine del mondo. »
« Non indurmi a scommettere, lo sai che non mi piace il gioco d’azzardo. »
Il capitano delle guardie scosse la testa con fare scherzoso, aveva individuato un paio di “prede”, due bocconcini ancora da assaggiare.
« Perdonami se ti abbandono, ma la mia natura di predatore mi chiama. »
Katòn lo fissò andarsene, decise che anche lui se ne sarebbe tornato nelle sue stanze, doveva pensare a come scusarsi con Shirea e doveva farlo prima che fosse troppo tardi.